Gestire un’aggressione non è una cosa facile, a volte ci si riesce altre volte c’è poco da fare. Non c’è un interruttore capace di sedare gli animi nè un comportamento che dia risultati certi. Questo perchè l’aggressione, se escludiamo quelle dettate da atti predatori e delinquenziali il cui scopo è sottomettere la vittima per ottenere qualcosa ( soldi, telefonino o soddisfazione dell’istinto sessuale) ricadono sotto un numero infinito di variabili.
La psicologia del confronto mette a disposizione alcune strategie, informazioni e concetti utilizzabili, ma va da sè che l’aggressore non è un pc a cui basta dare un certo input, nè è sempre chiaro cosa lo stia motivando ad attaccare.
Una persona sotto l’effetto di alcool o droghe è molto diversa da un’altra con turbe psichiche e malattie mentali. Una persona in branco o che appartiene ad una gang per la quale sta mettendo in atto un certo comportamento è diversa da un’altra che è stata lasciata dal partner e cerca un modo di sfogare la propria frustrazione.
Lo studio del linguaggio del corpo può fornirci qualche dato, ma non è un processo lineare. su questo dedicherò un articolo specifico, ma è importante capire fin da subito che non è che se incrocio le braccia sono automaticamente in chiusura e rifiuto; magari è una posa ordinaria, magari ho freddo, oppure è un modo di auto-confortarmi simulando un abbraccio o anche, se sono in un momento in cui mi sento aggredito, uso questa postura per passare velocemente ad una tecnica di copertura o parata e così via.
Premetto tutto ciò affinchè sia chiaro che quanto stiamo per trattare non è Bibbia e va preso con il dovuto senso critico e apertura mentale.
Vi racconto un fatto accaduto qualche anno fa, lo uso spesso per far comprendere quanto aleatoria sia questa disciplina. Mi trovavo in un locale. Non stavo lavorando, ma la mia forma mentis mi costringe a prendere nota di un mucchio di cose contemporaneamente. Mentre osservo l’ambiente intorno a me vedo poggiato contro il muro un tipo con un boccale di birra. Abbastanza anonimo, aveva lo sguardo fisso come immerso nei suoi pensieri, ma nessuna espressione o tensione del corpo particolare. Diciamo un comune avventore. In quel preciso istante passa un gruppetto di ragazzi molto tranquillo, probabilmente studenti. Uno di questi lo urta rovesciandogli qualche goccia di birra dal boccale, si gira con le mani alzate e con un’espressione sinceramente dispiaciuta. Vedo le sue labbra pronunciare la parola scus… Baamm! Il tizio senza cambiare espressione lo colpisce in bocca col boccale di birra.
Sfido chiunque a difendersi da un simile attacco. Ok, diciamo che l’uomo ragno potrebbe farcela, ma una persona normale lo subisce senza poter fare assolutamente nulla.
Quando si parla di gestione dell’aggressione ci possiamo riferire solamente a quella in escalation, cioè a quel tipo di modalità aggressiva che passa dalle parole alle spinte e infine allo scontro fisico.
Iniziamo col dire che ogni aggressore è in uno stato alterato di coscienza, sia esso dovuto a sostanze psicotrope (alcool o droghe) o dettato da mancata gestione delle emozioni ( rabbia, frustrazione, paura ecc.) o infine da malattie mentali che impediscono al soggetto di essere pienamente cosciente delle sua azioni.
La cosa più importante quando una situazione potrebbe sfociare in aggressione è staccarsi mentalmente dalla dinamica dell’escalation. Questa è la parte più difficile in assoluto! L’ho scritta in grassetto affinchè sia chiaro che senza questa prerogativa le cose andranno come andranno senza possibilità di controllo. Si deve invertire l’approccio alla difesa, riuscire a a mantenere uno stato neutro e osservare come se si fosse estranei all’evento.
Cosa significa? Facciamo un esempio tipico.
Il nostro sguardo incrocia quello di un soggetto il quale minacciosamente ci apostrofa: ” Cazzo guardi?”
Noi urtati e per non apparire deboli risponderemo a tono. Il soggetto allora si avvicinerà e inizia un giro di insulti pesanti, repliche e controrepliche, spinte, pugni e ciao ciao. Funziona sempre così no?
Ora mettiamo che invece di rispondere al “Cazzo guardi” con “Cazzo vuoi” abbassiamo lo sguardo e sussurriamo: “Scusami, somigli davvero tanto al mio più caro amico che è morto in un incidente un mese fa… non volevo sembrare maleducato”. A meno di non trovarsi davanti ad una bestia ( cosa non impossibile) diciamo che il 90% delle volte finisce a chiacchiere e birra.
Questo esempio seppure apparentemente semplice, contiene una serie di strategie importanti. Vediamole:
Diventare Persona
Per un individuo è molto più facile attaccare se davanti a lui vede una categoria o una figura piuttosto che una persona. Ad esempio, la divisa, il comunista, il fascista, lo straniero, il ricco, il terrone, il politico, Quando vediamo l’altro così, i nostri freni inibitori tendono a non funzionare. Più siamo immersi nella nostra visione della società più forte risulterà la tendenza ad attaccare il “nemico” a cui attribuiremo tutte le colpe del mondo.
Con la frase di cui sopra abbiamo implicitamente detto ” Scusami, sono una persona che soffre per un lutto, ero immerso nei miei pensieri ”
Usare il senso di colpa o di vergogna
Entrambi queste emozioni sono inibitrici dell’aggressività. Colpa e vergogna sono sovente usate quando si cattura un nemico a cui si vogliono estorcere informazioni mettendolo in uno stato di assoluta passività e frustrazione. Sono anche gli stessi meccanismi che danno autorità ad un genitore anche quando il figlio non è più un bambino e potrebbe reagire in malo modo. Le vittime di tortura curate nei centri specializzati non portano tanto i segni della sofferenza fisica e della privazione, quanto quelli dovuti ai trattamenti disumani che li costringono a perdere l’identità positiva che avevano di sè. Tipicamente il dover vivere tra i propri escrementi, il subire atti umilianti che fanno sentire l’individuo debole e incapace di prendersi cura di sè.
La frase di cui sopra fa sentire l’individuo colpevole di aver aggiunto dolore al dolore e cercherà un modo di rimediare.
Siamo amici
Rispondere al soggetto: ” Amico, tranquillo, non ti stavo guardando” non è una buona strategia. Nella sua mente la risposta immediata sarà: “Amici? Ma chi ti conosce!” E andrà a rafforzare l’aggressività e la distanza. Dicendo invece che somiglia al proprio migliore amico deceduto si va oltre la resistenza automatica, verrà registrato inconsapevolmente come un legame personale, di simpatia e affetto. Questo gli renderà più difficile continuare ad approcciarsi cercando una scusa per attaccare.
Valorizzare l’altro
Per quanto possa apparire banale, spesso la chiave sta nel riconoscimento del valore altrui. Quando diciamo “scusa, non volevo apparire maleducato” implicitamente stiamo dicendo “non volevo mancarti del rispetto che meriti”. Questo provoca una forma di soddisfazione e quando si è soddisfatti si è anche più rilassati. Ovviamente un’adulazione diretta non funziona perchè si ottiene l’effetto contrario ossia nella testa dell’aggressore suonerà come una falsa leccata di deretano per evitare il meritato pestaggio e quindi una presa in giro.
Queste strategie che sono solo una parte di quelle che si possono usare, purtroppo non funzionano sugli ubriachi o drogati.
Questo perchè sotto l’influsso di queste sostanze il contatto con la realtà funziona a sprazzi, quindi mentre piangono e ti abbracciano raccontandoti cosa li affligge la loro mente elabora qualcos’altro e ti tirano un pugno mandandoti a quel paese. Di buono c’è che l’ubriaco è come un bambino, si gestisce abbastanza bene (ricordiamolo, non è una legge universale) eccitandolo con l’entusiasmo. La sua immaginazione se si capisce quali corde toccare momento dopo momento ci aiuta a redirezionare la sua attenzione verso attività “ludiche” abbassando la sua soglia di aggressività.
Un esempio di come si possa fare è se si è in un locale, farsi fare due drink analcolici ed escalmare: “Sai che voglio fare? Bermi questo bel bicchiere sotto il cielo e godermi l’aria fresca? Vieni con me? Fammi compagnia, andiamo a festeggiare, lasciamoli qui in questo posto triste e andiamo a divertirci, mi serve la compagnia di un amico!”
Potrebbe mandarti a quel paese, ma se hai azzeccato il momento ti seguirà come un cagnolino e poi deciderai come svincolarti.
Certamente l’ubriaco che inizia a sfasciare tutto non cadrà facilmente nel tranello, anzi, potrebbe essere una di quelle situazioni in cui l’unico modo per fermarlo è bloccarlo in attesa delle forze dell’ordine. Purtroppo non tutte le ciambelle riescono col buco.
Infine qualche breve accenno ai segnali del corpo nell’imminenza di un attacco. Ricordate la storia di prima, potrebbero essere del tutto assenti, ma in generale in una forma o nell’altra precederanno l’aggressione fisica.
Pupille
Nel momento in cui si decide di attaccare subiscono un’improvviso restringimento. Non sarà facile cogliere l’attimo, dipenderà da quanta dilatazione dello spazio ci sarà tra la presa della decisione e l’azione. In alcuni è quasi contemporanea, in altri meno decisi vi potrebbe dare il tempo di aggiustare le distanze o coprirvi.
Rossore o pallore
Sono due segnali importanti. Il primo ci dice che la persona sta vivendo uno stato emozionale intenso, sia esso imbarazzo, vergogna o ira, il secondo invece ci deve mettere subito in guardia. Il primo, il rossore è spesso indice di emozioni trattenute che si sta cercando di riportare sotto controllo, il pallore per contro è il risultato dell’attivazione dell’adrenalina. le catecolamine fanno restringere le arteriole cutanee in favore di quelle viscerali mentre si attiva la modalità sopravvivenza. Quindi quando ciò accade, è facile che la persona si prepari a sferrare un attacco.
Un’altra informazione che ci da questo stato è che l’attacco sarà mirato, contrariamente a quello che avverrà sotto rossore, più facilmente scomposto. Quindi massima attenzione.
Mani aperte o chiuse
Come per il pallore e il rossore, un pugno chiuso è indice di trattenimento delle emozioni, rivolte all’interno. La mano aperta se accompagnata da pupille ristrette e pallore è quasi certezza dell’attacco.
Guardare altrove
Questo è uno dei segnali più comuni un paio di secondi prima che parta l’attacco. Se mentre si discute la persona guarda altrove (molto spesso girando la testa a destra in basso) sappiate che sta arrivando il treno. In generale, l’attacco partirà dalla mano o piede corrispondente alla direzione in cui girerà la testa. Ovviamente non è una regola, ma è piuttosto ricorrente.
Chiudo questo articolo ricordando che è solo uno sguardo molto semplificato su alcune situazioni comuni. Ci vuole molto tempo per imparare a decodificare alcuni segnali, ma soprattutto molto tempo per imparare a non lasciare che il proprio ego e il proprio vissuto venga influenzato dalla situazione facendocela sfuggire di mano.
Aiuta? Spero di si, tuttavia la regola madre rimane sempre quella di distanziarsi emotivamente dalla situazione. Agire, non reagire. Controllare sempre, spazi, ambiente, distanze, linguaggio verbale e non verbale. Quando si dice essere come la profondità dello stagno e non come la superficie che si agita, nelle arti marziali si intende anche questo.
Buon lavoro a tutti.