Ultimamente ho iniziato un nuovo percorso e per la prima volta, dopo 30 anni di pratica di stili esterni, sto studiando lo xing yi quan, un’arte marziale classificata come stile interno assieme al tai chi chuan e al bagua quan.
Ovviamente lo scopo di questo articolo non è spiegare tecniche o principii di cui ancora non so praticamente nulla, quanto piuttosto di raccontarvi la mia esperienza man mano mi approccio a questo mondo finora a me sconosciuto.
In passato ho avuto contatti con persone che praticavano tai chi sia stile yang che chen, ma non avevo mai approfondito l’argomento. In qualche modo sembrava sempre che fosse complicato parlarne e credo sia proprio così.
In questi stili c’è, da un punto di vista filosofico e terminologico, una fortissima influenza dal Taoismo, che, se vogliamo, possiamo paragonarlo in modo lato all’antica alchimia medioevale.
Ora, la lingua Cinese è abbastanza difficile già nell’ordinario, se dobbiamo provare a traslare anche termini dietro cui si nascondono concetti per gran parte esoterici, capiamo bene che la cosa diventa complessa.
A noi che siamo figli dell’illuminismo e della ragione talune formule risultano decisamente poco realistiche a priori, ma quando proviamo ad approfondirle, scopriamo con stupore che sono più vicine alla nostra idea di scienza di quanto potevamo immaginare.
Nella mia vita ho sempre avuto un grande interesse per il funzionamento umano, tanto psichico quanto fisico. Questo è stato uno dei motivi per i quali ho sentito fosse giunto il momento di conoscere questo mondo. Il triuni brain di cui ho già parlato, nello xing yi è applicato a livelli sottilissimi e concreti. Letteralmente xing yi quan significa pugno (o arte) del cuore e della mente. Il cuore rappresenta il paleomammoliano, la mente la neo cortex o area neomammoliana. L’intenzione infine si collega all’area R- Complex o rettiliana.
Tutto il sistema viene concepito attraverso lo studio di pochi movimenti ripetuti e combinati tra loro fino a renderli automatici ed efficaci. Detta così perfino il linguaggio alchemico risulta più comprensibile.
Teoria a parte, un paio di mesi fa appunto inizio le mie lezioni in un parco pubblico.
I primi esercizi sono destinati alla consapevolezza corporea e alla separazione dei blocchi motori.
Fantastico, inizio a muovermi come mi viene mostrato dal maestro Flavio Daniele e sorpresa.. non mi riesce.
Normale, è la prima fase d’apprendimento, mi ci vorrà del tempo. Passa un mese, comincio a notare diversi cambiamenti, ma sono ancora ben lontano dal farlo in modo corretto.
I movimenti sono apparentemente semplicissimi, ma appunto, è solo apparenza. Tutti questi anni passati a lavorare sulle catene muscolari sembrano non servire a nulla per farlo nel modo corretto.
In effetti, nello Xing Yi, gran parte del movimento è di tipo vertebrale e centrale, questo famoso dan tien che ho studiato nel karate, nello judo, nel taijitsu, ma di cui fino a questo momento non avevo compreso il nocciolo.
Mi accorgo che finora quello che avevo fatto sostanzialmente è stato contrarre l’addome durante l’esecuzione delle tecniche, tutto lo studio sull’allineamento, l’apertura delle anche, la forza torsiva del bacino, delle anche e della colonna vertebrale mi rendo conto che qui raggiunge un altro livello.
In un certo senso è come imparare di nuovo a muoversi.
Molti come me fino a quando ho iniziato a praticare, scambiano le arti marziali interne come una forma meditativa in movimento, il che non credo sia del tutto sbagliato, assieme ad un’indubbia componente salutistica tanto mentale quanto fisica però possiede anche altro.
Durante un esempio applicativo mi è stato dato un colpetto, e dico sul serio, apparentemente molto leggero sul petto… l’aria è fuoriuscita dal mio corpo improvvisamente lasciandomi senza fiato. Visto dall’esterno i movimenti, se escludiamo quelli che fanno uso del fa jing, sembrano del tutto innocui e leggiadri.
La cosa che davvero mi ha colpito è che in linea teorica, da un punto di vista biomeccanico, l’arco e la posizione da cui era partito il colpo non sembrava efficace. La forza che si produce nasce da una serie di micromovimenti e concatenazioni interne che al momento dell’impatto è veramente notevole.
Al momento, mi rendo conto che la vera difficoltà di chi pratica queste bellissime arti è quella di spiegarle. Da una parte l’uso del corpo richiede molto lavoro, fino a sentire che il movimento parte e finisce nel modo corretto e sarà il corpo stesso a dare la risposta, le parole non possono rendere l’idea. Dall’altra la terminologia e i suoi sottesi sono un ostacolo non da poco. Probabilmente assisteremo ad un cambiamento nel tempo visti i recenti studi sulle funzioni del tessuto connettivo e miofasciale che sembrano dare la possibilità di spiegare certe funzioni in termini più comprensibili a noi occidentali.
Indipendentemente da tutto, imparare a muovere il corpo secondo i principi di queste scuole secondo me aiuta a praticare meglio qualunque altro tipo di sport o arte marziale.
Quello che posso dire è che vale la pena provare superando qualunque preconcetto si abbia, la pratica apre nuovi orizzonti, inoltre, a titolo personale, aggiungo che il mal di schiena che mi stava uccidendo da un paio d’anni è praticamente scomparso. Mi dispiace solo non aver iniziato a studiare queste arti bellissime molti anni fa, fosse anche solo per la capacità di propriocezione che si ottiene nel tempo.