Saper fare, sapere insegnare. Guida ai principi dell’insegnamento efficace

Insegnare è un’arte nell’arte.
C’è un vecchio adagio che recita: “La pratica val più della grammatica“. Questo è verissimo, anzi, la pratica è in realtà il solo modo di apprendere. Tuttavia la pratica in assenza di struttura è nulla. Qualche giorno fa su facebook un utente faceva una domanda:
Si può imparare un’arte marziale guardando video?”
Ovviamente le risposte degli utenti, molti dei quali praticanti da lungo tempo, insegnanti e persone di buon senso è stata unanimemente un secco NO (condito ovviamente con tante battute simpaticissime).
L’utente che ha posto la domanda era sicuramente molto giovane e personalmente, seppure anch’io rispondo allo stesso modo, gli rendo comunque l’onore di aver chiesto con sincerità un parere in modo così candido, cosa molto rara ai nostri giorni.
Da ragazzino lessi un mucchio di libri, all’epoca internet non esisteva. Convinto di avere imparato qualcosa provai a mettere in pratica quanto letto nella prima palestra in cui mi iscrissi. Non vi sto a raccontare l’esito, ovviamente non avevo capito nulla e l’aggravante è stata che avendo praticato scorrettamente per lunghi mesi ho dovuto faticare non poco per correggere una gran quantità di automatismi che avevo malamente acquisito.
Il motivo per cui ho introdotto questo post con un tuffo nel passato è per dire che anche FARE non significa molto. Possiamo fare un sacco di cose, male, e ritrasmetterle peggio.
Un’altra situazione molto comune è quella di saper fare qualcosa perfettamente ma non riuscire ad insegnarla ad altri nel modo giusto o anche di non sapere come la facciamo. Questo capita a chi ha per natura un certo tipo di facoltà che è la somma di molte cose ed esperienze individuali di cui quasi non si ha consapevolezza.
Ogni insegnante, aspirante istruttore, allievo anziano, prima o poi si confronterà col problema della trasmissione.
Ad alcuni verrà molto naturale, per altri sarà un duro banco di prova. Per tranquillizzare chi sta per cimentarsi dico subito che spesso mentre si insegna si capisce qualcosa che non avevamo ben compreso negli anni di pratica, come potranno testimoniare altri maestri ed istruttori anziani. Questo perchè dovendo spiegare qualcosa ad altri contemporaneamente diamo struttura a noi stessi e a volte scatta un eureka!
Nel 1946, un professore di nome Edgard Dale mostrò un grafico che oggi è molto famoso chiamato Dales cone of experience.

Dale's cone of experience

Interessante, vero? Peccato che è un FALSO STORICO.
Dale stesso dichiarò che non aveva fondamenti scientifici e che doveva essere preso con le molle essendo solo un caso semplificato riguardante un lavoro su materiali audiovisivi. Ma come spesso accade, complici autorevoli studiosi che presero il materiale tout court per elaborare teorie e scrivere articoli, è diventato legge.
Ancora oggi negli ambienti accademici anche di alto livello viene citato a sproposito e su questo si è creata un’intera generazione di insegnanti, purtroppo anche in ambito marziale.
Come insegnanti abbiamo invece il dovere di essere a conoscenza di qualche principio realmente valido.
Per prima cosa vi segnalo due miei precedenti articoli che si basano sulla fisiologia e sull’apprendimento che sono sono molto importanti per avere ben in mente gli step di apprendimento psicomotorio:
Sviluppare le abilità marziali e più nello specifico Tipi di movimento e apprendimento motorio.

Aggiungiamo adesso qualche altro mito e le conseguenti considerazioni.

Per imparare a nuotare il bambino deve essere buttato in acqua!
Non so quante volte ho sentito questa frase nè quanti insegnanti di mia conoscenza l’abbiano messa in pratica.
Ho visto palestre di arti a contatto pieno buttare sul ring il novizio fin dalle prime lezioni con la scusa che si impara solo così. Risultato, pur in assenza di incidenti il tasso di abbandono è altissimo.
Il fatto che un allievo sia attratto dal contatto pieno non significa che è il punchball di un altro allievo più avanzato o del campioncino agonista. Significa più spesso, e di questo bisogna tenere sempre conto, che sceglie quell’arte per superare le proprie insicurezze. Ora, se alla prima lezione, seppure coi guantoni, esce coperto di ecchimosi e dolori, la sola cosa che siamo riusciti a fare è traumatizzarlo ulteriormente e accentuare la sua paura del contatto. Il “bambino” va familiarizzato con l’acqua e un passo alla volta sarà lui stesso a decidere quando entrare sul ring e affrontare i propri fantasmi.
Ovvio che ci sarà chi questo approccio senza sconti può trovarlo stimolante, ma attenzione, è un tipo di allievo che può essere molto equilibrato ma anche un possibile individuo problematico. Bisogna essere molto cauti nel proporre questo approccio che a mio avviso è improprio. Insegnare il rispetto del compagno non è solo l’effige di un glorioso passato, è didattica e richiede tempi e modi adeguati oltre una buona dose di conoscenza tanto del metodo quanto delle persone.

Se ti tirano un pugno tu fai questo
Non so quanti di voi abbiano esperienza con un vecchio linguaggio informatico chiamato DOS.
C’era un comando If…. then cioè se… allora. Si chiamava comando condizionale, ossia se si verificano certe condizioni, allora fai questo. In molte palestre questo metodo di insegnamento è quello ordinario. Meno presente nelle arti marziali tradizionali che seguono un percorso abbastanza codificato, ma quasi ordinario nelle discipline dedicate alla self defense. Inutile dire che questo metodo è assolutamente inidoneo e addirittura incapacitante per l’allievo. Per spiegare il perchè basterà leggere l’articolo dedicato alla difesa personale dove viene ben evidenziato come l’immagazzinare le tecniche con metodo if.. then è assolutamente controproducente.

La teoria non serve (fatti non pugnette!)
Ebbene questo è uno degli approcci che reputo tra i più ciechi in assoluto.
La teoria senza pratica non serve, da sola non dà proprio nulla e su questo credo siamo tutti d’accordo, ma la pratica senza teoria è cosa morta. Tutti sappiamo più o meno dare un pugno, un calcio, afferrare, mordere, correre, schivare. Fa parte del bagaglio genetico. Ma se allora basta questo per quale motivo ogni civiltà conosciuta ha sviluppato arti marziali e stili di combattimento? Perchè non siamo rimasti alla clava invece che costruire armi sempre più sofisticate? Bastava un bel colpo di femore di bisonte in testa e fine. Invece qualcuno scoprì che abbassandosi o muovendo i piedi in un certo modo era più facile evitare di venire colpiti, che uscendo da un certo angolo era più difficile per l’assalitore toccarci, che taluni punti del corpo umano erano più vulnerabili, che una lancia era più efficiente di una pietra e via andare. Un tempo l’allenamento era semplicemente la vita quotidiana. Si cercava una preda e la si inseguiva per giorni fino a riuscire a prenderla. Poi ci si rese conto che in gruppo era più facile, si cominciò a studiare modi efficaci di accerchiarla, dirigerla in una certa direzione. Si studiarono armi in grado di neutralizzarla nel modo più rapido e sicuro possibile. Tattica, strategia, anatomia e oggi neuroscienze, fisica, biomeccanica, scienze del movimento, psicologia del confronto e tutta una serie di saperi ci aiutano a migliorare e trovare il modo migliore di muoverci e allenarci al combattimento.
Un piccolo aneddoto, risalente a secoli fa. Si racconta che Cambise, re dei Persiani durante una guerra con gli Egiziani si ritrovò a dover espugnare la città di Pelusio. Sapendo che per gli Egiziani i Gatti erano sacri, fece legare questi felini sugli scudi dei suoi soldati. Gli egiziani alla vista di questo si rifiutarono di combattere e si arresero all’assediante.
Non si sa se è vero o una leggenda, ma racchiude una profonda verità, il combattimento non è solo pugni calci leve e strangolamenti, un buon artista marziale ha a disposizione molti strumenti che devono essere studiati e compresi per poi trovare la corretta applicazione al momento giusto. Compito dell’insegnante è avere una visione ampia, accrescere le sue competenze e trasferire questo bagaglio all’allievo che potrà andare oltre alla tecnica comprendendo principii e strutture.

Vi auguro come sempre buon lavoro.

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